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La malattia non rappresenta, come comunemente sentito, la
manifestazione, il suggello del fallimento del sogno di onnipotenza e di
immortalità dell'essere umano.
E' la finitezza dell'esperienza terrena che rende la
malattia particolarmente preziosa; e se la morte scandisce la fine di quel
particolare episodio chiamato vita, la malattia è invece l'indicatore dello
squilibrio che si manifesta nei rapporti che intercorrono tra i tre elementi
della triade.
La malattia è la maestra che porta in superficie, che
segnala chiaramente l'esistenza di problemi nascosti e irrisolti, che riporta
l'attenzione del malato all'essenziale, che costringe a sfoltire, a
relativizzare l'importanza delle occupazioni secondarie sulle quali si
concentra la vita.
La malattia spazza il campo dall'irrilevante.
E' il vero specchio che ci costringe a guardarci quali siamo
al momento del suo insorgere; che ci propone di evolvere e di superare le
difficoltà e i problemi rimossi e sepolti in profondità che risucchiavano le
nostre energie e con i quali sembravamo disposti a convivere in eterno.
Christa Faye Burka, nel suo libro: "La coscienza del
cristallo", afferma che:
“Quando l'uomo è pronto per evolvere verso un altro livello
di coscienza, normalmente si ammala”.
La malattia bussa alla porta dell'indifferente, del sordo
che non vuole intendere, del cieco che non vuole vedere e gli spiega:
"questo lavoro va fatto oggi, non si può rimandare più".
La consapevolezza, la presa di coscienza degli squilibri che
accompagnano il nostro cammino e che la malattia manifesta, è spesso di
difficile e penoso raggiungimento. Per questo la malattia occasionale, non
riconosciuta ed interpretata, diventa malattia cronica, e in seguito malattia
grave. Oppure la malattia si manifesta direttamente in forma grave, e la sua
gravità e la sofferenza che questa comporta (come pure la sofferenza che deriva
da traumi esterni alla nostra persona), è direttamente proporzionale con le
prospettive di crescita e di evoluzione da essa offerte.
La presa di coscienza è indispensabile per il raggiungimento
dell'equilibrio perduto. Spesso questa condizione non si verifica, ed è facile
che ciò avvenga perché il mondo moderno - materialista e pseudo-scientifico -
non ha assolutamente coscienza delle cause e del significato della malattia. E
la cura si estrinseca in una feroce lotta contro i sintomi, come se fossero
caduti dal cielo per caso, e non avessero nessun rapporto con la vita del
malato. Privi quindi di significato e privi di utilità e di possibile
interpretazione.
Solo marginalmente la medicina presta attenzione alla
persona, nel caso di quelle poche malattie che si definiscono psicosomatiche.
Ma in tutti i casi la soluzione proposta è radicale, di lotta, di guerra senza
quartiere contro il male, che va debellato ad ogni costo. Ma la guerra senza
quartiere combattuta all'interno di una città, non colpisce solo i
belligeranti, ma fa inevitabilmente molte vittime tra i civili e sconquassi nel
tessuto cittadino. Così accade nel corpo umano: nei casi di neoformazioni,
l'obbiettivo primario è di estirpare l'organo malato, prima che gli organi sani
possano venire contagiati; come se la violenza e la radicalità dell'intervento
non fossero tali da privare il corpo - spossato dalla chirurgia e
dall'aggressione chimica - delle energie e risorse immunitarie indispensabili
per impedire alla malattia di manifestarsi nuovamente (e magari in maniera più
virulenta, se le cause reali, lo squilibrio energetico, non è stato
identificato e sanato).
La cultura occidentale non presta attenzione ai messaggi del
corpo; la parcellizzazione del corpo umano, che è conseguenza della
specializzazione raggiunta dalla medicina e dalla perdita del punto di
riferimento - la globalità, l'unicità dell'individuo, la divinità che si
manifesta in lui - fanno si che il messaggio, portato dalla malattia quale
sintomo, non venga decodificato e compreso.
Eppure molti dalla malattia imparano, senza rendersi conto
che è proprio per dare loro quell'insegnamento che la malattia è comparsa.
Questo si verifica soprattutto se la malattia è stata grave e la paura di
morire ha messo in discussione i vecchi valori e ne ha messi in evidenza degli
altri: davanti alla visione della morte, l'ambizione e la ricerca del successo,
possono ridimensionarsi ed altri valori più autentici prendere il sopravvento.
Ma questo accade solo ad alcuni, mentre altri si dirigono con passo fermo verso
una riedizione più grave dello stesso evento al quale sono sopravvissuti, senza
avere tratto alcun insegnamento dalla malattia dalla quale sono stati temporaneamente
"guariti".
18-08-2016
Lucia Tommasini
Giannandrea
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